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Congedo straordinario per assistenza al disabile e convivenza more uxorio

2024-12-19 13:01

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Congedo straordinario per assistenza al disabile e convivenza more uxorio

Rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della normativa precedente il 2022.

Rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della normativa precedente il 2022.

La Sezione Lavoro della Cassazione, con l’ordinanza 30785/2024, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 42, comma 5, del Dlgs 151/2001 nel testo antecedente alla modifica normativa introdotta con l’articolo 2, comma 1, lettera n) del Dlgs 105/2022.

L’articolo 42, comma 5, nel testo previgente riservava al coniuge convivente di soggetto con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della legge 104/1992, il diritto a fruire del congedo straordinario di cui all’articolo 4, comma 2, della legge 53/2000.

In caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, ha diritto a fruire del congedo il padre o la madre anche adottivi; in caso di decesso, mancanza o in presenza di patologie invalidanti del padre e della madre, anche adottivi, ha diritto a fruire del congedo uno dei figli conviventi; in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti dei figli conviventi, ha diritto a fruire del congedo uno dei fratelli o sorelle conviventi. Per effetto delle modifiche normative del 2022, al coniuge convivente sono stati equiparati la parte di un’unione civile di cui all’articolo 1, comma 20, della legge 76/2016, e il convivente di fatto di cui all’articolo 1, comma 36, della medesima legge.

Nel caso di specie, la Corte di cassazione ha ritenuto di non poter adottare alcuna interpretazione costituzionalmente orientata con riferimento alle fattispecie prodottesi prima dell’entrata in vigore della nuova versione dell’articolo 42, comma 5, in quanto la norma indica in modo chiuso un elenco di soggetti legittimati alla percezione del beneficio in via sussidiaria (tanto è vero che il novero dei legittimati è stato via via ampliato da pronunce della Corte costituzionale, indicate nell’ordinanza).

In particolare, il mutato quadro normativo non apre alla possibilità di un’interpretazione evolutiva della disposizione ante riforma; infatti, la norma sopravvenuta ha semplicemente equiparato il convivente di fatto al coniuge, ampliando i diritti del convivente di fatto. Ma non ha in alcun modo, secondo la Corte, valorizzato in sé la situazione della convivenza di fatto, ossia approntando un riconoscimento in sé della natura della famiglia di fatto. Si è trattato, invece, di ampliare il catalogo dei diritti del convivente di fatto alla situazione specifica; infatti, il legislatore, con il Dlgs 105/2022, ha inteso semplicemente armonizzare il diritto interno alla normativa europea in sede di recepimento delle Direttive in materia di equilibrio tra attività professionale e vita familiare (Direttiva Ue 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio 20 giugno 2019).

In nessun passaggio della Direttiva si rinvengono elementi idonei ad armonizzare illimitatamente, nella legislazione nazionale, anche per il periodo precedente al 2022, la tutela del prestatore di assistenza nella convivenza di fatto, equiparandolo al coniuge e alla parte dell’unione civile. Mancando quindi nell’ordinamento una fonte normativa primaria che per il convivente possa dirsi analoga a quella relativa all’unione civile (cfr. articolo 1, comma 20, della legge 76/2016, che ha esteso a ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso le disposizioni contenenti le parole coniugi o termini equivalenti), secondo la Corte l’unica strada per fornire di tutela le situazioni ante 2022 è quella del ricorso alla Consulta.

In punto di non manifesta infondatezza, la Corte ha buon gioco, anche sulla scorta delle precedenti pronunce della Corte costituzionale, di ritenere tutelabile il diritto alla salute del disabile anche ove egli sia oggetto di cura in seno alla famiglia di fatto, che per molti versi, nel nostro ordinamento, già viene riconosciuta a tutti gli effetti come forma di comunità capace di sostenere ogni componente nello sviluppo della personalità (basti pensare alla potestà genitoriale sui figli nati fuori dal matrimonio, alla eliminazione della distinzione tra figli legittimi e figli naturali, alle norme sull’affido condiviso, alla possibilità di nomina, come amministratore di sostegno, della persona stabilmente convivente con il beneficiario).

La stessa Corte costituzionale ha riconosciuto al convivente di fatto, con la sentenza 213/2016, il permesso mensile retribuito di cui all’articolo 33 della legge 104/1992, per non parlare della giurisprudenza della Cedu ampiamente riportata nell’ordinanza in commento che ha consolidato, con una serie di pronunce significative, il principio per cui non si esige una disciplina dei differenti modelli familiari identica a quella del matrimonio, ma una disciplina non discriminatoria che salvaguardi e rispetti le scelte familiari della persona.

Insomma, l’assenza del vincolo coniugale rappresenta solo un’evenienza marginale a fronte del ruolo che svolge la famiglia, in tutte le sue versioni, nella cura e nell’assistenza dei soggetti disabili; se continuasse a essere un elemento preclusivo, ne sarebbe compromessa l’effettività dell’assistenza, discriminandosi ingiustamente i prestatori di assistenza comunque dediti ad apprestare le cure e le forme di assistenza necessarie al congiunto disabile (i cosiddetti caregivers familiari: articolo 1, comma 255, della legge 205/2017).

Cit. “Il Sole 24 Ore”



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